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Chaumont Festival du jardins

Edizione 2021


La mia intervista a Rudy Casati

Rudy Casati, floral designer di fama internazionale, racconta com’è nato il suggestivo allestimento floreale a sua firma nel castello di Chaumont sur Loire: un lavoro che definisce “un’avanguardia artistica rispetto ai fenomeni commerciali”

di Marco D. Introini

Esistono -,e sono esistite – donne capaci di incidere un solco nella storia: con la loro vita, le loro azioni, i loro pensieri, il loro stile di vita.

Una figura di questo tipo, per molti aspetti estremamente controversa, è Caterina de’ Medici. Proprio di lei abbiamo parlato con Rudy Casati, floral designer di fama internazionale, che il mese scorso ha realizzato nella splendida cornice del castello di Chaumont sur Loire, un allestimento floreale di grande impatto in quella che fu la camera da letto della regina consorte di Francia.

Come valuta questa figura storica così importante soprattutto per i francesi? 

Fino a poco meno di un secolo, fa l’opinione pubblica francese la riteneva una donna sanguinaria, molto capace, ma anche molto ferma nell’esercitare il potere. Più di recente, invece, è emersa come persona molto rivolta a cercare di conciliare cattolici e protestanti per costruire qualcosa insieme. Il tutto in tempi piuttosto difficili e con alle spalle una situazione famigliare che potremmo eufemisticamente definire complicata, di cui talvolta lei stessa è stata vittima. Anche se, probabilmente, la verità in merito ad alcune sue azioni, quali la Notte di San Bartolomeo, non verrà mai a galla, da italiano ho voluto affrontare orgogliosamente la sfida di decorare gli spazi della sua stanza, portando una nuova luce a dissolvere le tenebre che da troppo tempo gravano sulla sua figura. Si tratta di un progetto importante incluso nel Festival international des jardins, che per il terzo anno ha inserito l’arte floreale in quello che è uno dei più importanti festival mondiali dedicato alla creazione, all’immaginazione, alla poesia e alla natura, tanto che ospita ogni anno paesaggisti e progettisti provenienti dal mondo intero.

Ci parli della sua idea creativa 

Il mio obiettivo è stato quello di fare rivivere gli antichi arazzi e trasformarli in qualcosa che potesse fare affiorare le emozioni e le sensazioni di quel tempo, attraverso l’uso del colore del materiale floreale e andando a ricreare le stesse texture. Ho usato colori regali: il rosso, il blu Cina, il bordeaux, ma non ho voluto aggiungere l’oro perché poco presente in arredi e suppellettili. Inoltre, mentre per i fiori recisi sono assolutamente avverso alle colorazioni artificiali, ho voluto elaborare materiale essiccato perché molto affine al contesto. Importante è stato l’effetto dell’inserimento di materiali come la clematis Vitalba, perchè ha creato una texture neutra di colore e ricca di trasparenze, ma che comunica anche un che di antico e polveroso. Rendere vivi gli arazzi attraverso luce e colore, dando al tutto un importante tridimensionalità, è stata la vera sfida.

Pochissimi erano i floral designer selezionati e invitati a fare parte di questo splendido progetto di ampio respiro: come si è trovato a lavorare con colleghi provenienti da diverse parti d’Europa e con differenti background?

Lavorare con colleghi di alto lignaggio è sempre fonte di ispirazione e di stimolo per cercare nuove frontiere, senza fossilizzarsi su uno stile troppo personale, ma anzi cogliendo l’occasione di questi scambi per mettere a punto nuove linee, confrontandosi in maniera costruttiva. A livello internazionale, nella fioristica, le varie correnti sono divise per scuole o per provenienza geografica, che ne contraddistinguono le peculiarità. Trovo sbagliato chiudere i discorsi stilistici in maglie geografiche  e mi sforzo di essere scevro di pregiudizi. Ritengo queste manifestazioni di alto livello come una sorta di avanguardia artistica, che spesso precorre i tempi, rispetto a quelli che sono i fenomeni commerciali, con caratteristiche che si palesano anni dopo.

Dalle foto, diremmo che il risultato parla da solo, bravo Monsieur Casati.

Edizione 2022

il GIARDINO IDEALE Festival Internazionale a Chaumont sur Loire

di Marco D. Introini

L’era post lockdown è caratterizzata dalla riscoperta degli spazi verdi. Lo sa bene la vulcanica Madame Chantal Colleu-Dumond, ospite d’onore proprio il mese scorso Orticolario 2022 nel Comasco e direttrice del Festival Internazionale dei Giardini di Chaumont sur Loire, la cui trentesima edizione si conclude proprio all’inizio di novembre. 

24 équipe in concorso

L’evento vede protagonisti progettisti del verde, architetti del paesaggio e studenti di scuole o facoltà che hanno un indirizzo di tipo paesaggistico. Alle 24 équipe in concorso, quest’anno è stato chiesto di cimentarsi sul tema non facile del “giardino ideale”: resiliente, bello, biologico, ristoratore, confortante, innovativo e soprattutto efficiente dal punto di vista idrico ed energetico. Fare una efficace sintesi di tutte queste qualità, è stata certamente una sfida non facile, ma – ad avviso di chi scrive – svolta con grande successo.

Progetti unici

Così attraversando il parco del Castello di Chaumont, ci si è potuti imbattere per esempio nel Giardino della reciprocità, dove l’uomo e la natura sono legate indissolubilmente e visibilmente da un legame appunto di vicendevolezza, in tempi, quelli odierni, in cui la specie umana agisce sulla natura al punto di essere la sua più grande minaccia. Oppure al Bleu 47°, un giardino situato al 47° di latitudine nord, intriso in tutte le gradazioni di blu, cobalto, celeste, ceruleo, ciano, clematide, iris, tiffany… il tutto sviluppato in un labirinto di trasparenze che esaltano l’ottimismo e la gioia di vivere. E poi ancora il Giardino Erasmus, quello delle Illusioni o del Paradosso. Oppure anche il meraviglioso bozzolo di Le Cocon Vègètal, in cui un giardino segreto si sviluppa in un bozzolo di fili bianchi tesi su una struttura metallica. Tutti progetti che colpiscono per la loro essenza e unicità. 

Bello e funzionale a braccetto

Uno in particolare, però, merita una menzione speciale: Grenade, sia per il suo impatto estetico sia per la sua “autosostenibilità”. Entrando nel giardino si rimane colpiti dai petali di giganteschi fiori rossi, realizzati su struttura metallica, che ricordano vagamente il fiore del melograno. I petali sono ricoperti di un polimero che ombreggia e raccoglie facilmente l’acqua piovana, riversandola in contenitori di terracotta. Questo antichissimo sistema di vasi semisepolti nel terreno si chiama Oya e consente di risparmiare dal 50 al 70% di acqua rispetto all’irrigazione standard. Infatti questa raccolta è poco o nulla soggetta ad evaporazione e diffonde lentamente l’acqua alle piante attraverso la porosità della terracotta, dato che gli alberi tendono a circondare l’oya con la capillarità delle loro radici. Un principio quindi semplicissimo, come l’uovo di Colombo, ma per nulla scontato per un giardino che, di fatto, si autoalimenta e ha un’interessante presenza scenica: un progetto francese di Dufour e Flavigny, rispettivamente paesaggista e architetto. A conferma del fatto che ci possono essere soluzioni per il risparmio idrico non non soltanto funzionali, ma anche belle.

Vedere per credere

Il consiglio, l’anno prossimo, è di andare a vedere queste meraviglie con i propri occhi.