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In una lettera aperta Pier Luigi Celli, il direttore dell'universita' Luiss di Roma, consiglia a suo figlio di lasciare il paese per cercare meritocrazia, rispetto e il valore della realta' all'estero. "Col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati," scrive Celli in una lettera pubblicata su Repubblica. Le parole di Celli sono significative soprattutto perche' provengono da un dirigente del settore universitario, il cui ruolo e' di sfornare talenti e di generare in loro la speranza e l'entusiasmo di fare bene nella vita. Invece, le sue parole sembrano dire in modo chiaro e senza mezzi termini che in Italia non c'e' speranza. "Questo è un Paese - secondo Celli - in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai." Insomma, parole forti contro il sistema paese. Voi cosa ne pensate. Il messaggio del direttore della Luiss e' esagerato? Comprensibile? Siamo tornati ai ai tempi dove emigrare non era una scelta', ma bensi' l'ultima opportunita' per avere un futuro migliore? Esprimente il vostro pensiero sulla questione. Sotto trovate la versione integrale della lettera.

Figlio mio,

stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio. Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai. Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza. Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio. Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi. Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni. Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché. Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze. Preparati comunque a soffrire. Con affetto, tuo padre

L'autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli. (Pubblicato su Repubblica.it il 30 novembre 2009)

Qui una lettera di risposta trovata sul web

Papà caro,

Sette anni fa non mi mandasti una lettera come quella che scrive oggi su Repubblica il Direttore Celli a suo figlio. Eri emozionato il giorno della mia laurea e vedevo che non riuscivi a capire come quel tuo figlio avesse potuto arrivare dove tu non avresti immaginato mai. Non c’era amarezza nei tuoi occhi. Smarrimento sì, però, perché arrivati a quel punto non avevi più consigli da darmi. Intuivi che l’Italia si stesse addormentando, sospettavi che si stesse fermando, ipnotizzata da un vociare confuso di politicanti in doppiopetto e un grande fratello che già arrivava alla sua quarta edizione. Non sapevi, però, cosa avrei potuto trovare altrove. Sentivi che quello che stava per succedere ci avrebbe allontanato, ma non sapevi di cosa si sarebbe trattato. Non lo conoscevi e quindi non trovavi ragioni capaci di spiegare quel sentimento. Mi sentivi parlare di voglia di giustizia, di risultati meritati, di amici che erano diventati per me una nuova famiglia, di amici sodali che come me credevano nel diritto ai propri diritti e che come me fremevano per spendere nel mondo quello che finivamo di imparare. Ti dicevo “papà, guardati intorno, quello che io voglio non ha valore in una società divisa, rissosa, fortemente individualista, che ogni giorno svende i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili, di carriere feroci fatte su meriti inesistenti”. “Qui io muoio. Muoio come intellettuale, perché le mie idee non vengono alimentate dal nuovo che nasce oltre confine. Muoio come persona, perché a pochi interessano le conseguenze della propria indifferenza. Muoio come professionista, perché nessuno mi spiega e accetta regole chiare per costruire una carriera. Muoio come italiano perché mi sento troppo diverso da chi continuo a guardare dal basso in alto”. Quando mi hai accompagnato all’aeroporto ho cercato di invertire i ruoli, per fare quello che tu avevi fatto con me il mio primo giorno di scuola cercando di lenire la mia paura, e per dirti “fidati di me, è la scelta giusta”. Quando mi sono girato per l’ultima volta , oltre i controlli di sicurezza, l’ho vista quella paura, ho visto come si mescolava alle lacrime di rabbia che cercavi di soffocare. Sapevo che ti sentivi responsabile di quella partenza, perché tu hai la mia stessa sete di giustizia, ma pensavi di non averla protetta a sufficienza, hai la mia stessa voglia di vedere l’impegno premiato, ma temevi di non aver fatto abbastanza per difendere questo principio nel tuo paese. Non era così, papà. Quel giorno non te l’ho detto, perché non sapevo quanto sarebbe durato quel mio viaggio. Non volevo che tu restassi in piedi tutte le notti ad aspettare il mio ritorno. Ora, però, che ti sei abituato alla mia distanza, te lo posso spiegare. Sono partito perchè avevo bisogno di respirare, non per colpa tua. Volevo vedere se esistesse davvero un mondo come quello che volevi tu. Sono andato a caccia, papà, e presto tornerò con il sacco pieno, perché io quel mondo l’ho trovato. Esiste, è sparso, un pezzo qui, un pezzo lì, quel mondo aperto, responsabile, trasparente, equilibrato, che io e te abbiamo sempre voluto, esiste. É fatto di colleghi che si aiutano, di cittadini che si respettano, di persone che non hanno paura del futuro, di merito premiato, di impegno riconosciuto, di buone idee che non si snaturano nei meandri della politica e delle burocrazie. Preparati, papà, perché ho voglia di mostrartelo, di farti vedere che la ricerca è stata fruttuosa e che andando, raccogliendo, e tornando, la mia passione per quei principi e la mia voglia portarli qui, indietro, non passa. Anzi. Con affetto, Tuo figlio (Stavanger, 30 novembre 2009)

E qui una manciata di parole mie

Rientro ora da un convegno istituzionale dove si sono presentate alcune misure economiche anticrisi.Il commento che mi viene da fare è che bisognerebbe riscrivere l'art 1 della cosituzione. "L'italia è una paese gerontocratico fondato sul lavoro precario e disprezzato dei giovani", perchè le teste . . . . . . . pensanti della politica ci dicono che se tu sei giovane, ed alle spalle non hai GARANZIE o una FAMIGLIA che te le offra, puoi avere le migliori idee di questo mondo che nessuno qui crederà mai in te, TANTOMENO LO STATO. NOn ci saranno idee innovative, ponderati business plan, o voglia di fare che tenga! Ti daranno qualcosina se investirai nel manifatturiero, quando tutti sanno che il futuro è già scritto e sta nel terziario. Rimarrai un gregario di qualcuno, che sia un parente o no poco importa, ed il tuo destino sarà di essere relegato a posizioni di secondo piano .Lo Stato ,non solo non ti aiuterà ma costituirà per la tua voglia di fare un pesante fardello, le banche non ti daranno nulla che tu non abbia già. . . e quindi . . . MEGLIO ANDARE ALTROVE! Non conosco il sig Celli, nè le altre sue idee in merito all'economia e alla politica, ma se avessi un figlio, stasera scriverei per lui le stesse cose. . . Aggiungo che comunque, questo è il risultato di una classe dirigente di cui Celli fa parte, una classe di ex sessantottini che stava allegramente sulle barricate a fumarsi le canne invece che andare a studiare. Questo è il risultato, ovvero è il FALLIMENTO, di quella generazione, che scimmiottava maldestramente una società poco propensa al cambiamento, che poi però loro stessi hanno ben contribuito a far cambiare IN PEGGIO. A cosa sono servite le scazzottate fra "rossi" e "neri" ? A cosa sono servite le manifestazioni di piazza ed i picchetti fuori dalle università? A cosa sono servite le bandiere di Che Guevara e quelle con il fascio? A che cosa sono serviti ore di collettivi studenteschi? se questo è il risultato che hanno prodotto? Chissà mai che a qualche "pezzo grosso", venga da farsi un esame di coscienza. Il colmo è che queste persone, hanno anche la faccia tosta si dare dei "bamboccioni" a quei ragazzi che non hanno altra opportunità che andare a lavorare come precari  (se hanno titoli di studio di scuola secondaria) o di andare a lavorare gratis, in qualche studio professionale o medico, se laureati! Loro predicavano bene allora, ora razzolano male perchè forse sono cadui nell'oblio, peccato nessuno si ricordi da dar loro qualche pedata nel sedere per rinfrescare la memoria!

Questa è la prova provata che la generazione dei 68ini di cui noi siamo figli è una generazione di cialtroni. Ma questo nessuno lo scriverà! I Direttori delle testate sono tutti 68ini anche loro!!