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prasomaso

Quanto ne avevo sentito parlare, per quanto tempo.

Così l'incontro con questa sperduta località della Valtellina l'avevo quasi desiderato, non fosse altro che per la curiosità che mi portavo dentro da un bel po', quasi 13 anni.

Una strada per arrivarci che seppur panoramica, è poco più che una vecchia carrettiera asfaltata, contornata da parapetti in ferro bianconeri che la rendono almeno più sicura di quella del passo del Mortirolo che è pure lì vicino.

La strada sale ripida e tortuosa per le montagne immersa fra larici ed abeti che lasciano qualche squarcio panoramico sulla valle, le prime case che si incontrano sono di sasso con le imposte rosse e ti accolgono in questo microscopico paese dove le case incorniciano la via Sant'Antonio; colpisce la quiete e la circolazione dei mezzi che è quasi nulla. Salendo sulla sinistra si intravedono le vestigia del complesso del Sanatorio che colpisce con la sua bellezza e maestosità, pur nella sua ormai diroccata veste. Spinto dalla curiosità salgo di un poco e mi intrufolo in un pertugio della rete, alle spalle di quella che fu una delle costruzioni a servizio di questo monumentale complesso. Lo scenario che vedo davanti ai miei occhi mi colpisce nel profondo. La mente con l'ausilio della fantasia, scivola indietro nel tempo , ai primi anni del 900, l'impressione che ne ricavo potrebbe essere la stessa di un sub che si avvicina al relitto del Titanic. Mi immagino questi palazzi liberty nel pieno del loro splendore, popolati da medici e infermieri, da degenti in vestaglia e ragazzini nelle loro bluse, questa che ora è una visione in bianco e nero diventa una visione a colori, con le tende sui terrazzi, i fiori nel giardino in un brulicare di vita che scorre lenta in un luogo votato alla cura, dove si entra malati (e stremati di Tbc) e si esce dopo molto tempo rimessi quasi a nuovo.E' così forte il contrasto fra un posto nato per “ridare la vita” e lo spettro che invece mi appare, fra muri crollati , vetri rotti, porte divelte, grondaie a penzoloni

Mi domando il perchè di tale sfacelo, l'analogia con il Grand Hotel Campo dei Fiori, capolavoro liberty del Sommaruga è praticamente automatico. Un destino quasi comune per dei luoghi che nel loro tempo furono di sfavillante fulgore, che poi di colpo vengono condannati ad un destino infausto per ragioni di mero opportunismo economico. Sembra quasi una maledizione del “liberty”, lo stile floreale, della Belle Epoque, che nasce per brillare come una stella ma che poi diventa una meteora. Perchè la storia ci ha consegnato intatti capolavori dell'antichità ed invece si accanisce in maniera così vigliacca su quelli del nostro passato più recente? Per quale motivo gli abitanti di quella zona, che sono cresciuti, hanno lavorato, socializzato e talvolta vissuto nel sanatorio, ad un certo punto, dopo la sua chiusura gli si sono accaniti contro con così tanta ferocia, devastandolo e depredandolo con una cattiveria inaudita? Cosa dovrebbero pensare quelle persone che si misero in gioco con tutta l'energia di cui erano capaci, per costruire e gestire una struttura che ancora adesso sarebbe un esempio di autosufficienza, per meritarsi questo?

Ho cercato in rete la storia della genesi di quel Sanatorio, e l'ho trovata una storia di Eroi di altri tempi, di medici pervasi dalla preoccupazione di portare aiuto e sollievo ai malati, coraggiosi abbastanza da scontrarsi con coloro che non volevano vendere i terreni al construendo sanatorio per paura delle malattie; qualcosa di ben diverso dalle Baronie della medicina a cui siamo abituati adesso, che operano in un turbine di scandali e fallimenti ad orologeria.

Ho voluto provare ad entrare per scattare qualche foto, nel magnifico padiglione d'ingresso dell'Umberto I, che con le sue vetrate (rotte) si affacciava su un panorama delle Orobie veramente mozzafiato, ho visto le salette con le cabine telefoniche che mi hanno riportato ai tempi della naja, ho poi voluto scendere le scale per andare nel grande teatro dove ancora ci sono le poltroncine di legno da cinema, scomode come non mai, che ho ben chiare nei miei ricordi di ragazzino.

Effettivamente quel posto è magico, anche se ormai ridotto in rovina trasmette una sensazione di “vita”, vita “desiderata”, vita “ridonata”, vita “sociale”, vita “operosa”, vita che “non fugge via”, ma che si aggrappa con le unghie anche al più flebile dei respiri.

Quanta bontà è si è vissuta li dentro, quanto sacrificio, quanta speranza, quanta dedizione.

Quello non è un rudere, quello è un “tempio dei buoni sentimenti”, quelli non sono sassi, mura, vetri e ferri, non è un posto inanimato, ma è un ambiente che trasuda vita, pur nella sua disgraziata condizione. E' ancora un sanatorio, non più per il corpo ma per lo spirito, sta alla sensibilità di chi calpesta quel suolo, coglierne la vera essenza.

La mia speranza è che qualcuno si prenda a cuore quel meraviglioso posto e lo riconsegni alla sua primitiva funzione e se così non fosse, che almeno si recuperino i bellissimi fabbricati che ridotti così sono un oltraggio alla memoria degli Eroi che lo hanno voluto: ovvero il Dr Francesco Gatti (luminare del tempo), il Dr Linneo Corti (il medico condotto di Tresivio) e degli Architetti Brioschi e Giachi che lo progettarono disinteressatamente (adesso si direbbe GRATIS!).

Devo riconoscerlo, Prasomaso per questo motivo è “magico”